Nella frenesia elettorale che sembra non avere mai fine, i cittadini europei assistono con crescente disillusione a un teatro politico in cui i leader, consci di non varcare mai le soglie di Bruxelles, riducono il dibattito sul destino dell’Europa a una mera diatriba locale. L'attenzione dei partiti è rivolta quasi esclusivamente a questioni economiche e di difesa, dimenticando completamente la centralità della cultura. Eppure, è proprio la cultura che rende unico il nostro continente, un concetto che ha un significato civile e identitario ben preciso.
L'Europa, frutto di una doppia eredità – Atene e Gerusalemme – si fonda essenzialmente sulla sua ricca e dinamica cultura. Questa cultura è un mosaico di influenze, aperta al nuovo e all’altro, una celebrazione della dignità umana, della conoscenza e della ricerca disinteressata del sapere. Tuttavia, nel panorama politico attuale, la cultura è stata completamente trascurata.
Consideriamo un piccolo aneddoto riportato da George Steiner. Mentre negli Stati Uniti strade e viali sono identificati da numeri e lettere, in Europa le nostre vie e piazze portano i nomi di artisti, scrittori, scienziati e statisti. Oltreoceano, il presente sembra sradicato dalla memoria storica, mentre qui in Europa, la memoria conferisce consistenza e bellezza ai nostri spazi.
Milan Kundera aveva già previsto questa tragica dimenticanza nel 1985, nel suo testo raccolto in "Praga, poesia che scompare" (Adelphi). Se nel Medioevo l'unità europea era garantita dalla religione, nei tempi moderni arte, letteratura e filosofia sono diventati i valori supremi attraverso i quali gli europei si identificavano. Oggi, in un atto di liberazione, il pensiero profondo ha ceduto il passo alla tecnica e al mercato. L’europeo contemporaneo si identifica come “colui che ha nostalgia dell’Europa”. Addio, dunque, alla cultura come terreno comune! Un’accusa di dolorosa attualità che sembra cadere nel vuoto, ignorata sia dagli attori principali che dalle comparse della politica italiana.
