Valorizziamo le donne attraverso il linguaggio

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Nel quotidiano e nelle comunicazioni ufficiali, spesso si incontrano resistenze nell’adottare un linguaggio che rifletta le mutate realtà sociali.

L’articolo intitolato «Direttrice, signora, maestro. Quanto conta la lingua nelle battaglie di genere» di Fernanda Fraioli, pubblicato sulla nostra «Gazzetta» il 3 febbraio, prende spunto da un dialogo tra Paolo Bonolis, noto conduttore televisivo, e Francesca Perrotta, direttrice dell’Orchestra Olimpia, composta esclusivamente da donne e protagonista dell’evento di apertura di «Pesaro, Capitale italiana della Cultura 2024».

Durante la cerimonia, Bonolis ha fatto alcune allusioni inopportune a una musicista e, nel presentare Perrotta, l’ha chiamata «signora», scatenando la reazione della direttrice che ha richiesto di essere riconosciuta con il titolo appropriato, quello di direttrice. Richiedere il titolo corretto è un gesto di riconoscimento per un’attività storicamente maschile. «Nessun direttore d’orchestra è stato costretto a precisazioni come quelle di Perrotta o a sorridere di fronte ai complimenti per le caratteristiche fisiche di un componente dell’orchestra».

Partendo da queste considerazioni, sorprende la dichiarazione finale di Perrotta: «tra maestro e signora, scelgo maestro». Fernanda Fraioli commenta: «Ci saremmo aspettati che la scelta ricadesse tra Direttrice e Maestra»: «laddove esiste il termine femminile, sarebbe opportuno utilizzarlo». Effettivamente, in italiano, «maestra» è un termine antico che definisce una «donna particolarmente esperta in una certa attività». Dobbiamo quindi chiederci: perché Perrotta, che difende il diritto al genere femminile anche a livello linguistico, ha optato per il sostantivo maschile maestro? Questo dibattito non è nuovo e riflette chiare dinamiche sociali. Quindi, diremo che una donna è chirurgo (o chirurga), ministro (o ministra), magistrato (o magistrata), rettore (o rettrice)? Alcuni ritengono che il genere non marcato metta in evidenza la funzione, e vedono nel femminile una svalutazione del ruolo, mentre altri sostengono l’uso dei femminili per enfatizzare la dignità professionale delle donne: non è solo una questione di grammatica, ma anche di rispetto tramite la valorizzazione del genere.

Sia nelle comunicazioni ufficiali sia in quelle quotidiane le resistenze a un adeguamento linguistico sono notevoli. La diffidenza verso le nuove forme femminili, l’avversione per un percepito eccesso di politicamente corretto, e spesso motivazioni estetiche - con i nuovi sostantivi femminili che sono percepiti come «sgradevoli» e quindi inaccettabili - sono tra le principali ragioni di questo rifiuto.

In realtà, la reticenza verso alcuni sostantivi femminili ha radici in un pregiudizio ideologico, forse inconscio. Termini come cuoca, infermiera, sarta non destano meraviglia; le donne hanno sempre svolto queste attività. Ma ci si interroga su termini come sindaca, assessora, architetta, perché rappresentano professioni o ruoli recentemente acquisiti dalle donne. Anche nello sport, termini come sciatrice o nuotatrice sono accettati senza problemi, mentre termini come arbitra risultano controversi a causa della loro novità. Ci chiederemmo mai di definire Sofia Goggia e Federica Brignone sciatori o Federica Pellegrini e Benedetta Pilato nuotatori?

Perché alcune parole femminili come «sindaca» o «ministra» sono state descritte come «orribili» e «abominevoli» dall’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un discorso del 2016? Dobbiamo adattarci a una realtà in evoluzione, in cui le donne raggiungono posizioni un tempo inimmaginabili. Secondo Tullio De Mauro, eminente linguista, una volta nato il ruolo, il vocabolario dovrebbe adeguarsi. «Usiamo i femminili, con attenzione», ha dichiarato.

Giorgia Meloni preferisce essere chiamata «il presidente», mentre Beatrice Venezi vuole essere definita «direttore» d’orchestra al maschile. Tuttavia, il corretto uso della lingua non è un capriccio italiano. In Francia, Germania e Spagna si usano regolarmente forme femminili per professioni e cariche. Chi adotta per l'italiano le forme femminili sfrutta le possibilità espressive della nostra lingua. La società evolve, i ruoli cambiano. Oggi, con una società in continuo movimento, molti termini un tempo esclusivamente maschili possono essere usati al femminile. La stampa gioca un ruolo cruciale nel promuovere l'uso dei femminili professionali. Rispettiamo le regole grammaticali. Adeguandoci ai tempi, mostriamo rispetto per le donne anche attraverso il linguaggio.

Pubblicato il: 15/05/2024

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